Con il suo primo libro fotografico, intitolato non a caso Oltre, l’artista romana racchiude i fotogrammi della sua ricerca che coincide anche con la scoperta di accostamenti cromatici che diventano come una sorta di dna topografico dei luoghi presentati: New York, l’Olanda, l’Italia tra Monopoli e Roma.Aria e acqua, cieli e monti che perdono le caratteristiche di profili geografici ma diventano quasi texture, campiture di colori ore abbaglianti ora sfumati, pieghe di tessuti ideali con i quali coprire come con una coltre il mondo. Nessun artificio, nessun filtro è stato utilizzato per ottenere le immagini che, svela l’autrice, sono il frutto di un’intuizione, di un modo particolare di fissare l’obiettivo sfruttando leggi ottiche, dalla riflessione all’assorbimento del colore e della luce attraverso la materia dei corpi che reagiscono in modo diverso a seconda della superficie,dell’incidenza della luminosità che li attraversa. Le composizioni che ne fuoriescono sono tappeti cromatici, magici come quello di Aladino, sopra i quali è possibile sorvolare il mondo reale. Addentrarsi nei meandri della mente, scavare tra le sensazioni che distorsioni e riflessi giocano con l’immaginario
da “Oltre - Il reale come architettura di luce” Di Antonietta Fulvio
Ines Facchin, architetto, utilizza la macchina fotografica come medium per tradurre in immagini gli inquietanti paesaggi suggeriti dalla sua straordinaria fantasia visionaria, in cui l’immagine fotografica si fonde con l’arte dando vita ad una nuova corrente, l’’impressionismo psichedelico’, ottenuto riproducendo l’immagine naturale in assenza di effetti digitali artificiali.
da “RIFLESSIONI - fotografie di Ines Facchin” Di Patrizia Arigò
Ines Facchin legge la realtà con semplicità, gioca con noi, ci rende partecipi del suo disincanto. Riallacciandoci al pensiero di Susan Sontag, Ines fotografa per appropriarsi della cosa che fotografa cioè la realtà. Vuole “stabilire con il mondo una relazione particolare che dà una sensazione di conoscenza, e quindi di potere”. Cerca attraverso la sua arte di controllare una realtà per certi versi incontrollabile, ma non lo fa né con ansia né con spirito giudice, è mossa dal desiderio di scoprire, dalla voglia di emozionare e dal gusto di catturare: i tre concetti che secondo Helmut Newton riassumono l’arte della fotografia.
da “IMMAGINI di Ines Facchin”di Marta Capanna
Appare evidente che una lettura critica dell'opera fotografica di Ines Facchin deve saper cogliere la difficile dialettica fra lo sforzo della immaginazione di una aurorale genesi e la sua dissoluzione; fra una incipiente possibile pienezza e un annichilente vuoto; fra l'origine che pulsa ed un metafisico richiamo verso il nulla o, quantomeno, verso un in-definito altrove. Scriveva M. Foucault (1926-1984) alcuni anni fa che «l'uomo è uno scintillio, un fugace luccichio…». Le foto della Facchin sigillano questo pensiero nel senso che esibiscono una "scialbatura" di umanità, che è una precaria invenzione destinata a precipitare nel dissolvimento. Il racconto fotografico di questa lucidissima artista sembra infine dare ragione a C. Levi-Strauss quando definiva l'uomo «un fantasma imprevisto».
da “RIFLESSIONE SULLE FOTOGRAFIE DI INES FACCHIN anno 2011”di Renato Conti